Dopo i conquistadores nelle colonie spagnole arrivano i religiosi, incaricati di convertire le popolazioni locali. Uno dei più famosi è Bartolomé de las Casas, più volte evocato da Evangelisti. Un dialogo fra Rogério e il “cinico” Ravenau de Lussan che si tiene alla fine dal capitolo 18 di Tortuga, e che qui riportiamo, chiarifica sia la visione che l’autore ha delle idee diffuse dagli scritti del vescovo spagnolo - ed egoisticamente messe in atto da esponenti di varie culture e religioni - sia il modo in cui interpreta l’operato dei pirati caraibici:
«Fu Rogério, ansimante per il calore e così sudato da essere zuppo, il primo a riprendere la parola. “Trovo disgustoso il commercio degli schiavi che si fa a Curaçao. Ho visto in vendita bimbi di pochi mesi”. “Ringraziate il vescovo Bartolomé de las Casas e gli umanitari come lui”. “Cosa c’entra De las Casas?” protestò Rogerio, indignato. “È stato il primo a denunciare i supplizi inflitti agli indigeni americani!”. “Sì, ma è stato anche il primo a proporre, in alternativa al commercio degli indigeni, l’importazione di negri dall’Africa. Il Vaticano e i regni d’Europa l’hanno preso in parola, e hanno legittimato il commercio di carne nera. I musulmani procurano la merce sulle coste dell’Africa, qui gli ebrei la mettono all’incanto. Cristiani vari benedicono il traffico. Sapete qual è la forza dei pirati?”. “No”, rispose Rogério. “Evitare queste ipocrisie. Vogliamo denaro, fuori da ogni regola. Arraffiamo di tutto e vendiamo di tutto, uomini inclusi. Noi siamo il futuro e nessuno ci fermerà”».
In questa immagine e in quelle successive presentiamo due delle opere più famose del vescovo spagnolo.
Bartolomé de las Casas, Il supplice schiavo indiano, Venezia, Marco Ginammi, 1636.
Collocazione: 9. Letteratura spagnola. Opere originali. Caps. 1, n. 1